La PFM torna a casa, arriva al Teatro Lirico Gaber e ne viene fuori un concerto memorabile.
E’ stato un successo? No, è stato un vero e proprio trionfo. Del tutto meritato.
La tournée celebra il 50 anni di questa straordinaria Band che, nel corso delle decadi, ha saputo mantenere alta l’idea, lo spirito me, soprattutto, il suono del Prog italiano.
La platea è per la maggior parte di “over 50”, come è naturale che sia, ma ci sono anche trentenni giustamente coinvolti nell’atmosfera di un concerto tirato che per 2 ore abbondanti ha offerto musica di altissimo livello, praticamente senza sbavature.
E’ il concerto di una Band che, come direbbe Jim Kerr, è assolutamente alive and kicking, una Band che non celebra il proprio passato -e loro sono tra i pochissimi in Italia che potrebbero permettersi di dire “noi siamo la PFM. Punto”- ma ripercorre con orgoglio 50 anni di musica vera, musica che va suonata e, prima ancora, sudata.
Il messaggio che Di Cioccio, Djvas, Lucio “violino” Fabbri e soci fanno passare è che la musica è l’unica cosa che conta davvero.
Quello che va in scena al Lirico non è uno Show, è un concerto. E la differenza è bella grossa.
La PFM ci dice che anche nel mondo di oggi, un mondo nel quale le nuove tecnologie permettono di “creare” e “fare” musica stando dietro ad un pc piuttosto che dentro ad una sala prove, ha senso sporcarsi le mani con i cari vecchi ferri del mestiere: gli strumenti, gli amplificatori, le bacchette, i cavi e i microfoni.
Forse la PFM va persino oltre perché se, dopo 50 anni, ci sono ancora tantissime persone che si spellano le mani per ogni attacco perfettamente a tempo o per ogni frase che esce dal Minimoog, allora, è chiaro, che hanno sempre avuto ragione loro e “si può fare”.
E quello che, da sempre, può fare più di tutti è il Signor Franz di Cioccio da Pratola Peligna di anni 76 che è stato semplicemente fantastico nel costruire, con il suo drumming che è ancora di un’ energia e di un’efficacia pazzesca, il groove che ha sorretto tutto il concerto.
L’altra metà del cielo ritmico è Patrick Djivas, che tiene sempre botta.
Lucio “violino” Fabbri, in pieno mood hendrixiano, si è lanciato in assoli con un largo uso del pedale Wha che sono stati molto apprezzati.
E’ giusto sottolineare la qualità di Marco Sfogli alle chitarre perché non è affatto semplice salvaguardare la legacy di Mussida mettendoci comunque tanto del proprio, cosa che lui ha fatto nel migliore dei modi.
Bravi anche Eugenio Mori alla batteria -deve essere dura fare il vice FDC- Alessandro Scaglione al pianoforte e sinth e Luca Zabbini dei Barock Project, che hanno aperto la serata, alle tastiere, chitarra e voce.
Hanno tutti suonato e cantato alla grande e hanno fatto girare tanta, tantissima musica.
All’interno di una scaletta intelligente e non troppo incline al paraculismo i nostri partono con i pezzi dell’ultimo album, e qui è importante il discorso che Djivas fa introducendo Trasumanza Jam quando spiega l’importanza e la forza che i brani strumentali hanno sempre avuto per la Premiata.
I pezzi sono nuovi ma sono, indubbiamente, PFM per cui il pubblico apprezza.
Si atterra poi nel mare sicuro dei classici immortali con Impressioni di Settembre, Il Banchetto, La Carrozza di Hans, Dove e Quando che strappano applausi e grida di giubilo ad ogni accordo.
E ancora Harlequin da Chocolate Kings, la rilettura di Romeo & Juliet di Prokofief.
C’è anche spazio per la pagina “americana” -e qui è bene ricordare, soprattutto ai più giovani, che quasi 50 anni prima dei Maneskin la PFM è andata negli States e ha riscosso un notevole successo- con una spettacolare Mr. 9 Till 5, con l’ Overture del Guglielmo Tell e con l’immancabile Celebration.
Come bis il giusto e doveroso tributo a Faber con Volta la Carta e Il Pescatore.
Un grandissimo concerto, uno di quelli che ti fa dire “per fortuna che c’ero” perché la PFM, da 50 anni, ci regala emozioni in musica.
Sergio Beonio Brocchieri per MusicHunter